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Analisi della pubblicità. Semiotica del testo. Lettura e consumo

Il consumo come la lettura: una produzione silenziosa

pubblicità marketing mix - semiotica della pubblicità

La pubblicità nel marketing mix

18/01/2015 Commenti disabilitati su Le pertinenze dell’oggetto Views: 4768 Testi

Le pertinenze dell’oggetto

MARKETING, COMUNICAZIONE, SEMIOTICA: STRATEGIE ENUNCIATIVE DELLA COMPLICITÀ

1 – LE DUE PRODUZIONI

1.4.1 Le pertinenze dell’oggetto

Nei paragrafi precedenti, quando abbiamo esplicitamente parlato di comunicazione pubblicitaria, abbiamo accettato come ipotesi iniziale che la strategia di marketing avesse assegnato al mix di comunicazione una funzione di differenziazione del prodotto rispetto agli oggetti con analogo valore d’uso. Si tratta in realtà di un caso che si verifica molto spesso, ma che non è affatto la regola (cfr. paragrafo 1.5.1.). Esistono infatti casi in cui, per esempio, la produzione interviene realmente sul prodotto per modificarne le caratteristiche funzionali; in questo caso la pubblicità può incaricarsi di informare, nel modo più idoneo, il potenziale consumatore dei plus e dei benefit del prodotto promosso.[4] Può trattarsi di una semplice messa in scena di pseudo-eventi (Attali, 1977) o di pseudo-inovazioni: tuttavia l’intervento tecnologico sul prodotto può determinare con efficacia mutamenti positivi a livello della sua qualità percepita. [5]
In alcuni casi il mezzo pubblicitario è quindi chiamato a lavorare in sinergia con con le modifiche realmente determinate dalla produzione; in altri casi la strategia comunicativa si incarica di intervenire direttamente sul valore d’uso del prodotto. La comunicazione pubblicitaria è allora suscettibile di contrarre funzioni strategiche distinte al variare del grado di saturazione del mercato, della posizione della marca rispetto alla concorrenza, delle eventuali innovazioni e microinnovazioni tecnologiche che abbiano mutato in qualche misura le caratteristiche funzionali dell’oggetto. Riteniamo quindi che la pubblicità non possa che essere considerata uno dei mezzi possibili di differenziazione simbolica e funzionale del prodotto rispetto alla concorrenza: il fatto che essa sia spesso chiamata a contrarre tale funzione non deve cioè spingerci a ritenere che la strategia di marketing non possa utilmente attivare altre leve strategiche adatte allo scopo. È noto infatti che parametri quali il prezzo, il canale distributivo, il design e il packaging, per esempio, (oltre, ovviamente, alla innovazione tecnologica di cui abbiamo parlato) concorrono alla definizione dell’immagine complessiva del prodotto e della marca.
Tutte le variabili a disposizione del marketing devono comunque fare i conti con il comportamento di consumo che, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, sembra oggi porsi come pratica di produzione di senso. Ciò che è emerso nei capitoli precedenti è che le due pratiche, quella di marketing e quella di consumo, pur operando con intenti per certi versi opposti, intervengono sull’oggetto secondo modalità e con effetti molto simili: sia le variabili a disposizione della strategia di marketing (tra le quali si pone in posizione privilegiata la comunicazione pubblicitaria), sia le mosse tattiche del consumatore, operano, in ultima analisi, scelte di pertinentizzazione. Lo stesso mix di leve di cui si dota il mezzo pubblicitario produce infatti scelte di angoli di pertinenza che determinano strategicamente la messa in rilievo di alcuni tratti del prodotto a scapito di altri. E, d’altra parte, anche ciò che abbiamo definito «produzione di senso attraverso il consumo» ha tutte le caratteristiche di un processo di pertinentizzazione. Processo che, come già abbiamo voluto sottolineare, deve pur sempre fare i conti con un certo tipo di resistenza che le caratteristiche funzionali dell’oggetto oppongono alle pratiche d’uso. Nell’interazione negoziale che viene a determinarsi tra le «due produzioni» (quella del consumo e quella della «produzione» normalmente intesa) non è quindi detto che il marketing non possa ancora muoversi «per obiettivi e strategie». Nella misura in cui il prodotto – inteso, in questo caso, come una delle P del marketing mix [6] – continua ad essere una delle leve strategiche di una politica di marketing, le modifiche, anche minime, delle caratteristiche funzionali del prodotto stesso possono ripercuotersi sulle marche isotopiche che oppongono un certo tipo di resistenza alle pratiche di consumo. Se è vero, quindi, che «il punto di vista da cui risulta la pertinenza del modo in cui si concepisce un oggetto materiale non è mai imposto, s’intende, dall’oggetto stesso», e che tale punto di vista è invece «sempre introdotto dal soggetto» (Prieto, 1975, tr.it. p.125), non possiamo, nello stesso tempo, ignorare che i programmi d’uso virtuali caratterizzanti l’oggetto appaiono gerarchizzati (cfr. cap.1.4.) e che il processo di pertinentizzazione, per quanto libero, non può essere arbitrario.
Dovrebbe comunque essere di fondamentale importanza per il marketing il carattere sociale di tale processo: «siccome il soggetto è sempre un soggetto sociale, ogni conoscenza della realtà materiale comporta, al livello stesso della costruzione dell’identità che essa riconosce al suo oggetto, una componente, la pertinenza, che, essendo non “data” (cioè imposta dall’oggetto) ma al contrario introdotta dal soggetto, è per questo fatto anch’essa sociale.» (ibidem, p.126) Le segmentazioni della popolazione in cluster di consumatori con comportamenti e valori condivisi omogenei potrebbero essere utilmente rilette o reimpostate al fine di scorgere i processi di pertinentizzazione caratterizzanti i singoli gruppi sociali.
L’indagine sui criteri attraverso i quali il consumatore attualizza alcuni dei programmi d’uso inscritti nell’oggetto (e non altri), sulle isotopie che legittimano la sintassi d’acquisto e consumo di prodotti diversi da parte dello stesso soggetto, potrà forse risultare domani, sotto certi aspetti, l’indagine valoriale per eccellenza: sappiamo infatti che «esiste un’interazione assai stretta, e a più direzioni, tra la visione del mondo, il modo in cui una cultura pertinentizza le proprie unità semantiche e il sistema dei significati che la nominano e le ‘interpretano’.» (Eco, 1975, p.116)
Ci pare dunque che l’analisi di un comportamento di consumo che si pone tendenzialmente come tattica appropriativa/produttiva, come pratica di «risemantizzazione degli oggetti d’uso» e che appare dotato di una sorta di «carica estetica che si introduce nella funzionalità del quotidiano» (Greimas 1987 tr.it. p.69), richieda una rivisitazione critica dei criteri di segmentazione. L’indagine sulle pratiche sociali di pertinentizzazione e, quindi, di risemantizzazione degli oggetti dovrebbe possedere anche un certo potere previsionale. Sarebbero allora auspicabili nuove classificazioni in grado di «individuare nuove pertinenze capaci di essere attivate alla luce di altre pratiche di lettura» (Eco, 1990, p.139).
Si comprende che la conoscenza dei campi semantici, complementari o contraddittori, (Eco, 1975, p.117) dei quali una certa unità culturale può entrare a far parte, diviene strumento strategico non solo a livello di pianificazione del prodotto, delle sue caratteristiche tecniche, del suo design o packaging, ma anche criterio per la dispositio argomentativa della comunicazione pubblicitaria. Esistono, a dire il vero, numerosissime pubblicità che mostrano di conoscere bene le competenze enciclopediche e ideologiche dell’enunciatario: tanto è vero che i relativi testi sono ordinati da una dispositio che tiene rigorosamente conto della contraddittorietà o complementarità degli spazi semantici.
Ciò che intendiamo affermare è che, siccome «l’ideologia stessa, tema della presupposizione, è una visione del mondo organizzata che può essere soggetta all’analisi semiotica» (Ibidem p.359), i dati che emergono da una possibile indagine di mercato potrebbero essere organizzati in modo rigoroso ed essere immediatamente utilizzabili. Anche perché non sempre il mezzo pubblicitario è chiamato a proporre valori positivi assoluti attribuibili al prodotto promosso: succede invece che la pubblicità, in quanto leva della strategia di marketing, possa incaricarsi di «una proposta “argomentativa” di valori (cioè in opposizione a valori precedentemente veicolati o a valori considerati negativi). Quindi, come i pubblicitari sanno molto bene, non si tratta solo di conquistare nuove fette di mercato o di creare nuovi bisogni, ma anche di sostituire aree assiologiche con una valorizzazione correttiva.» (Pozzato, 1991, p.9)
Tale sostituzione di aree assiologiche prende spesso la forma di una manipolazione ideologica. Si pensi al caso delle comunicazioni pubblicitarie automobilistiche discusse nel paragrafo 1.4. In quel caso ci è parso di poter individuare due tipi di contraddizione con i quali la promozione del prodotto doveva fare comunque i conti: da una parte troviamo uno stesso sistema sociale e culturale che sincreticamente si oppone e destina il soggetto nel programma di ricongiunzione con la natura (o, più in generale, con la “naturalità”), dall’altra abbiamo notato come il valore dell’efficienza tratto pertinente al prodotto automobilistico è suscettibile di essere letto come disvalore se i parametri di riferimento sono quelli della salvaguardia dell’equilibrio ambientale. Non a caso abbiamo definito il «problema ecologico» la questione cruciale ed emblematica delle società complesse: l’impressione è che in futuro la pubblicità potrà sempre meno facilmente occultare i termini della contraddizione, e il marketing dovrà d’altra parte rivolgersi anche ad altre leve strategiche (prima fra tutte l’innovazione tecnologica del prodotto) per superare eventuali resistenze o barriere. I recenti programmi a medio e lungo termine della Fiat e lo stesso obiettivo denominato «qualità totale» sono i segni di questa tendenza.
È da notare che, in opposizione alle comunicazioni pubblicitarie che abbiamo citato, esiste un gruppo di case automobilistiche che hanno scelto, e stanno scegliendo, di non occultare il conflitto automobile/ambiente e che hanno assegnato al mezzo pubblicitario il compito di rendere noti gli sforzi compiuti dall’impresa, a livello di produzione, per l’attenuazione dell’impatto ambientale.
Se nel caso degli spot la contraddizione è sovente estromessa e talvolta occultata, nella pubblicità a stampa si riscontrano più spesso argomentazioni che prendono in carico la questione. Si tratta, in molti casi, però, di una vera e propria dispositio ideologica, ovvero di un tipo di «argomentazione che, mentre sceglie esplicitamente una delle possibili selezioni circostanziali del semema quale premessa, non rende esplicito il fatto che esistono altre premesse contraddittorie o premesse apparentemente complementari che portano a una conclusione contraddittoria, pertanto occultando la contraddizione dello spazio semantico.» (Eco, 1975, p.364)
Possiamo ipotizzare che, nei casi in cui il consumo di un certo prodotto è riconosciuto potenzialmente in conflitto con alcuni valori condivisi, la scelta di non occultare la contraddizione divenga strategica. In altra parole, una marca può posizionarsi rispetto alla concorrenza per aver preso in considerazione un certo conflitto valoriale. Il dato che comunque ci preme sottolineare è che una singola marca ha l’opportunità di posizionarsi rispetto alla concorrenza anche attraverso scelte tipicamente pubblicitarie: come ad esempio il tipo di inventio e dispositio argomentativa e le caratteristiche del contratto enunciativo.

Tratto da Gianni Cresci, Marketing, comunicazione, semiotica. Strategie enunciative della complicità. Università di Bologna, 1991

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NOTE

4. «Nel linguaggio marketing-pubblicitario italiano il plus di un prodotto è caratterizzato dalle caratteristiche specifiche, i vantaggi o le “qualità in più” che distinguono un prodotto da altri a esso simili.» (Mariani e Cortese, 1988, p.220)

5. Alcuni temi trattati in questo paragrafo (qualità percepita, valore, argomentazione e pertinenze dell’oggetto) sono stati ulteriormente sviluppati in uno scritto successivo: Gianni Cresci, Gli Argomenti del valore. Appunti per una Semiotica del Marketing, 1994

6.  «Il marketing-mix è la combinazione delle variabili controllabili di marketing che l’impresa impiega al fine di conseguire il volume previsto di vendite nell’ambito del mercato obiettivo.» (Kotler 1967 tr.it.p.86) «Il marketing- mix al tempo t di uno specifico prodotto di un’impresa può essere rappresentato dal vettore (P1, P2, P3, P4) t, dove

P1 = qualità del prodotto,
P2 = prezzo,
P3 = punto di vendita,
P4 = promozione.» (ibidem p.87)

In particolare, gestire la variabile “prodotto” «significa progettare e sviluppare i prodotti e/o servizi giusti per il mercato cui l’azienda si rivolge. Ciò implica mettere a punto delle strategie per modificare i prodotti esistenti, per aggiungerne di nuovi, per rivedere continuamente l’adeguatezza dell’assortimento. Decisioni strategiche sono necessarie anche con riguardo alla marca, alla confezione ed a varie altre caratteristiche del prodotto.» (Stanton e Varaldo, 1964, tr.it. p.51)

CERTEAU, Michel de
1980 L’invention du quotidien, Paris, Union Générale d’Edition

ECO, Umberto
1975 Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani
1990 I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani

GREIMAS, Algirdas Julien
1987 De l’imperfection, Paris, Fanlac (tr.it., Dell’imperfezione, Palermo, Sellerio, 1988)

KOTLER, Philip
1967 Marketing managment: aanalysis, planning and control. Prentice-Hall, inc. (tr.it., Marketing management, Torino, Isedi, 1973)

POZZATO, Maria Pia
1991 “Primi contributi a una ricerca sulla pubblicità dell’automobile”, dattiloscritto, Documenti Medialab IDC, Università di Bologna

PRIETO, Luis
1975 Pertinence et pratique. Paris, Minuti (tr.it, Pertinenza e Pratica, Milano, Feltrinelli, 1976)

STANTON, J.Williams e VARALDO, Riccardo
1964 Fundamentals of marketing, New York, McGraw-Hill (tr.it., Marketing, Bologna, Il Mulino, 1986)

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