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Tattiche versus Strategie. Il consumo come tramite di socializzazione

Tattiche versus Strategie. Il consumo come tramite di socializzazione

Analisi della pubblicità. Semiotica del testo. Lettura e consumo

Il consumo come la lettura: una produzione silenziosa

14/01/2015 Commenti disabilitati su Il marketing e l’inquietudine metodologica Views: 4769 Testi

Il marketing e l’inquietudine metodologica

MARKETING, COMUNICAZIONE, SEMIOTICA: STRATEGIE ENUNCIATIVE DELLA COMPLICITÀ

1 – LE DUE PRODUZIONI

1.3 Il marketing e l’inquietudine metodologica

Abbiamo descritto le caratteristiche della transizione post-industriale poiché queste sembrano motivare alcuni mutamenti di prospettiva attuati dalla teoria di marketing, soprattutto riguardo alla questione fondamentale della segmentazione. Abbiamo infatti messo in risalto l’emergenza di nuovi tipi di aggregazione sociale che evidentemente sfuggono ad una classificazione che tiene conto dei soli parametri sociodemografici.
Ci sembra che Livolsi nel suo saggio L’agire di consumo come agire razionale riassuma bene il mutamento paradigmatico in atto nell’ambito degli studi di marketing: «L’ottica tradizionale del marketing si è riferita, fino a non molto tempo fa, alle principali variabili socio-economiche o demografiche: la classe sociale, il reddito stesso, il luogo di residenza, eccetera, spesso considerandole isolatamente. (…) Così alcuni prodotti erano femminili (nel senso che servivano o erano acquistate da donne), altri per persone con medio-alto reddito, eccetera. Tentativi spesso troppo generici, per spiegare la progressiva segmentazione dei mercati. Divenne necessario, così, andare oltre. Anche perché, nel frattempo, la ricerca sociologica ha mostrato come le indagini relative alla stratificazione sociale non riescono più a spiegare certi fenomeni, nel consumo come nella politica. (…) Persone provenienti da classi o ceti diversi possono ora – diversamente che nel passato – avere comportamenti analoghi: comperare le stesse cose, frequentare gli stessi posti, avere le stesse idee politiche, eccetera. (…) Le differenze passano dentro le aggregazioni descritte dalle variabili socio-demografiche: lo stesso livello di reddito può venire da professioni assai diverse, con stili di vita e, conseguentemente, abitudini di consumo assai poco omogenei.» (Livolsi, 1987, pp.112-113)
Sia detto per inciso che i tradizionali parametri demografici non sono sostituiti dai nuovi; assistiamo piuttosto ad una convivenza, nel mondo del marketing, di parametri non omogenei le cui funzioni si rivelano, di volta in volta, alternative o sinergiche. Il concetto di segmentazione, sviluppatosi negli anni Cinquanta, subisce continuamente nuove ridefinizioni. Ma, come abbiamo detto, i nuovi parametri che di volta in volta vengono proposti come nuovi, non risultano mai in grado di sostituire i parametri utilizzati in precedenza. Se è ormai generalmente riconosciuto che «la struttura a piramide articolata in tre classi principali, tipica degli anni Cinquanta e Sessanta, non costituisce più uno schema di analisi valido» e che «l’attuale schema di diffusione dei modelli di consumo è a matrice» poiché «in esso manca un sistema di condizionamento di tipo gerarchico (top-down) e i modelli si proiettano e si diffondono in tutte le direzioni» (Sabbadin, 1990, p.68), tali acquisizioni non evitano comunque che il marketing debba fare ricorso in casi specifici a quei criteri di segmentazione apparentemente «superati».
Abbiamo così la convivenza di parametri assolutamente disomogenei (anche nell’accezione matematica del termine): quali quelli geografici, demografici, socio-economici, psicografici, comportamentistici, eccetera. Inoltre, a questi ultimi si affiancano nuovi criteri che riscuotono unanimi consensi come il metodo psicografico o la benefit segmentation.
Non entriamo in merito alla discussione sui pregi e i difetti dei singoli criteri, poiché non è questo il tema centrale della presente nostra analisi. Intendiamo però partire dall’osservazione di tale situazione articolata, per non dire caotica, in cui si trova il marketing per proporre alcune osservazioni.
Sottolineiamo intanto ciò che appare in realtà evidente: cioè che il marketing si sta adeguando, forse con qualche affanno, a quei mutamenti sistemici che abbiamo descritto nei capitoli precedenti: emergenza del terziario e del quaternario, nascita di nuovi valori condivisi da nuove aggregazioni sociali, crescente complessità sistemica, passaggio dalla produzione dei beni all’economia dei servizi, perditadi centralità delle classi sociali legate ai mezzi di produzione, eccetera.
L’altro tema di riflessione che vogliamo proporre è assai meno evidente, ma forse proprio per questo più interessante. Secondo la terminologia che abbiamo introdotto ci troviamo infatti al cospetto di una situazione che è al tempo stesso paradossale e stimolante. Sembrerebbe cioè che il marketing più che muoversi secondo una logica che abbiamo definito strategica, finisca per ricorrere a mosse tattiche periferiche e occasionali. Paradossalmente il mondo della produzione, anch’esso parte di un sistema ipercomplesso, adotta quelle logiche che caratterizzano il comportamento di consumo.
Sembra infatti che il marketing stenti a dominare l’oggetto delle sue analisi e sia sempre più in balìa del comportamento sfuggente del consumatore. Alle prese con tattiche di produzione di senso trasversali rispetto al mondo della produzione, con logiche di appropriazione e riduzione della complessità imprevedibili, il marketing è costretto a mutare continuamente i propri parametri, a ridurre gli scarti, a trasformare la presunta strategia in un insieme di tattiche periferiche e disseminate.
Troviamo riscontro a questa ipotesi nella nuova teoria del  bottom up proposta niente meno che da Al Ries e nelle problematiche esposte da Pascale Weil riguardo a «target fuggevoli e infedeli» e a «mercati istantanei». Analoghe considerazioni ci porteranno, per altri versi, a ritenere necessaria l’adozione di un approccio sintagmatico allo studio del comportamento dei consumi.
Ma procediamo con ordine. Al Ries in un’ intervista rilasciata a Marketing Espansione riassume la sua teoria in questi termini: «Le arene competitive si modificano a ritmi sempre più frenetici. Come è possibile pianificare strategie a lungo termine quando non si è più in grado di prevedere in quale ambiente un’azienda è destinata ad agire? (…) il bottom up consiste proprio nel partire dal fondo, dalle tattiche, per risalire poi alla definizione delle strategie. La filosofia di questo approccio è: prima di decidere dove si vuole andare bisogna capire cosa si è capaci di fare.» (Goj, 1990, p.36)
Evidentemente la teoria del bottom up si oppone a quella del top-down, ovvero all’opinione consolidata che si debba partire da una strategia generale per poi prendere decisioni operative singole che rispondano alle funzioni che la strategia complessiva le ha assegnato. Tale concezione piramidale e gerarchizzata delle operazioni di marketing è in realtà presente nei più recenti manuali di marketing, e considerata, in un certo senso, come una delle più importanti acquisizione teoriche. In altre parole, non ci pare il caso di sminuire l’importanza, anche storica, della considerazione di strumenti quali ad esempio quello pubblicitario come parti integranti di una strategia di marketing.
Intendiamo molto più semplicemente scorgere nella posizione di Al Ries un segno di quella inquietudine metodologica che sembra oggi caratterizzare il marketing. L’esigenza di «partire dal fondo, dalle tattiche, per risalire poi alla definizione delle strategie», ci pare l’implicito riconoscimento che il consumo si pone sempre più come una produzione di senso silenziosa e trasversale; l’implicito riconoscimento di un consumatore sempre meno passivo e sempre capace di ritagliarsi spazi d’azione imprevisti.
Il bottom up non è altro che il tentativo di osservare più da vicino il «gioco d’astuzia» del consumatore, per prevederne meglio le mosse occasionali. E per far questo, come abbiamo già detto, il marketing si fa sempre meno strategico e sempre più tattico.
Come avevamo accennato, il riconoscimento del consumo come produzione di senso attraverso logiche di tipo tattico, si ritrova implicitamente nel libro Et moi, émoi di Pascal Weil (1986) recentemente tradotto e pubblicato in Italia (1990).
L’assunto teorico da cui parte l’autrice, ovvero l’emergere del Nuovo Narciso, è riconducibile invero ad una delle principali caratteristiche della società post-industriale la cui influenza si concretizza «nello stimolo di tratti di tipo narcisista, sino a suggerire uno stretto collegamento tra società post-industriale e personalità narcisista.» (Secondulfo, 1990, p.37) Secondulfo si riferisce alle teorie di Bell e Touraine, ma anche e soprattutto al saggio di Lasch La cultura del narcisismo (1981).
Le parole della Weil sono comunque assai eloquenti su quella che abbiamo voluto definire inquietudine metodologica del marketing. «L’evoluzione attuale dei comportamenti e delle sensibilità, il diffondersi dell’ individualismo e del narcisismo, il frantumarsi dei valori sociali costituiscono una minaccia per il marketing. (…) Purtroppo, il movimento degli individui è meno lineare di quanto sembri: non solo obbediscono ai codici di gruppi più ristretti,  le tribù (che potrebbero costituire micromercati) ma partecipano anche a reti di socialità diverse che non si sovrappongono che marginalmente. In altre parole, ciò che caratterizza essenzialmente gli individui d’oggi, è la loro capacità di saltare da una tribù all’altra adottando ogni volta i segni che la contraddistinguono, i totem e i tabù di quella tribù, ma senza cercare una logica nei loro differenti approcci, senza tentare di conciliare le diverse appartenenze.» (Weil, 1986, tr.it. pp.113 e 117)
In verità, che «gli individui d’oggi» non ricerchino «una logica nei loro differenti approcci» è un’ipotesi che deve essere verificata. Se la logica non si vede — un po’ come il trucco – non è detto che non ci sia. La prospettiva che abbiamo adottato ci induce anzi a sospettare che, dietro l’apparente illogicità del comportamento di consumo nelle società contemporanee, si nascondano motivazioni e procedure la cui interpretazione è il difficile obiettivo da conseguire. Potrebbe tuttavia trattarsi di una banale questione di termini: «saltare da una tribù all’altra» o il non «cercare una logica» sono infatti, secondo i parametri che abbiamo proposto, interpretabili come azioni rispondenti ad una logica appropriativa che sfugge alla «strategia dominante» e, naturalmente, alle stesse griglie interpretative utilizzate dagli studi di marketing. Si tratta, come è ovvio, soltanto di una ipotesi. Ciò di cui comunque siamo convinti è che l’apparente opacità di un fenomeno non dovrebbe scoraggiarne l’analisi. Al contrario, ci pare che ormai il marketing non possa che porre la sua attenzione all’individuazione e interpretazione di tali logiche nascoste. E per raggiungere tale obbiettivo ha forse bisogno di nuove prospettive metodologiche e di nuovi strumenti di analisi; strumenti in grado di cogliere la struttura di tali pratiche appropriative le quali sono – lo abbiamo più volte ripetuto — produttrici di senso.
Ci pare che la semiotica possa utilmente essere chiamata in causa. Christian Pinson, vice presidente de l’Associati0n Francaise du Marketing, nella prefazione al recente libro di Iean-Marie Floch Sémiotique, marketing et communication-Sous les signes, les stratégies, riferendosi ad uno degli studi del semiotico francese sui percorsi degli utenti del métro, sottolinea come «A l’étude psycologique du discours sur le traject du métro, la sémiotique propose, en préalable, l’étude du trajet consìdéré comme texte (le discours di trajet) pour savoir comment et non pas seulement pourquoi les gens Voyagent dans le métro. (…) Pour le sémioticien, les trajets sont un ”texte” et les différentes facons de vivre la traject représentent différentes stratégies de valorisation de ce trajet. On voit bien ici le présupposé de cette démarche: le sujet est l’observateur de ses comportements et tend ensuite à en etre le producteur.» (Pinson, 1990, pp.VIIl-IX)
Ancora una volta emerge un consumatore, un «utente», la cui pratica è una vera e propria «produzione secondaria» secondo la terminologia di De Certeau. E questa pratica, il cui studio è affidato alla semiotica, costituisce veramente una «minaccia» per il marketing, come sostengono implicitamente o esplicitamente alcuni autori?
È lo stesso Pinson a porsi retoricamente la domanda: «Le consommateur… producteur de sens? N’est-ce pas déposséder le fabricant ou prestataire de services (l’énonciateur, pour le sémioticien) de son pouvoir? N’est—ce pas émettre une proposition hostile ou du moins dangereus pour le marketing? Certainment pas, si par marketing on entend vraiment recherche de la satisfaction du consommateur.» (p.IX)
L’esigenza di studiare la sintassi d’uso del prodotto, ovvero quello che viene identificato come l’approccio sintagmatico, è anch’essa, a nostro avviso, una conseguenza della definizione del consumo come produzione secondaria.
Per sintassi d’uso si intende l’insieme delle «regole adottate per ordinare (principio sintattico) i beni nel loro utilizzo, il che può anche essere funzione dell’obbiettivo complessivo del consumatore. Ciò implica la possibilità di capire come un bene possa fare riferimento a più di un ruolo in un sistema di consumo o in una particolare occasione d’acquisto. Da ciò consegue la possibilità di contrapporre a livello di ricerca di marketing un approccio sintagmatico ad uno paradigmatico.» (Grandi, 1990b, p.61) L’approccio sintagmatico si pone quindi l’obbiettivo di descrivere il framework in cui si inserisce un prodotto, affinché si individuino le virtualità combinatorie di un certo oggetto con altri oggetti presenti sul mercato o comunque disponibili. In occasione del First International Conference on Marketing and Semiotics (1986), Trudy Keheret—Ward propone proprio tale approccio come uno dei nuovi possibili sbocchi della ricerca di marketing. Il suo intervento si sofferma sul fatto che sia «the marketing concept» sia «the consumption system concept» sono stati enfatizzati nei testi di marketing degli ultimi venti anni: «Both are stressed in the current edition of Koteler’s Marketing Managment. But while the marketing concept is accorded a ritual obeisance, the consumption system concept is being rediscovered and made the centerpiece of strategie marketing analysis. The consumption system approach is coming to the fore because it has great promise as a way of helping marketers think about how to respond to a changing envirorment. What is needed for this approach to achive its full potential is an intuitive way of thinking about consuption systems.» (Keheret —Ward 1987 p.219)

Keheret-Ward riassume poi gli obbiettivi della ricerca sintagmatica nel marketing, in tre punti:
«1) Itemize the string of complementary products required by users of your product in order to achieve particular consumption goals. 2) Describe any rules for combining the products in use. 3) Describe any systematic differences in the combinatorial rules observed by different user segments.» (p.221)
Le ripercussioni di tale approccio sono prevedibili a livelli distinti come a quello della segmentazione e definizione del target, del design del prodotto, della promozione, della comunicazione pubblicitaria. Non possiamo certo qui entrare in merito alle singole questioni, per le quali si rimanda ai due citati articoli di Keheret- Ward e di Grandi che costituiscono un utile inventario di analisi che – va pur detto – devono ancora essere compiute.
Ci soffermiamo invece su ciò che l’approccio sintagmatico di per sé presupporrebbe e di cui comunque dovrebbe tenere conto nelle sue applicazioni. Il riferimento è evidentemente a quella caratteristica manipolatoria e di appropriazione simbolica che molti ricercatori, come abbiamo già detto, attribuiscono all’uso che degli oggetti fanno le sottoculture, e che noi abbiamo invece voluto estendere al comportamento di consumo in generale. In altre parole la pratica di assemblaggio, di organizzare il consumo e l’uso dei beni in una sintassi propria, pratica comunque produttrice di senso, è suscettibile di sfuggire al controllo della produzione primaria (che in questo caso identifichiamo nel sistema di produzione stesso delle merci e nelle strategie di marketing). Abbiamo più volte sottolineato il carattere, così ben colto da De Certeau, sfuggente e trasversale delle tattiche «produttive» che regolano il comportamento del consumatore, di quello che l’autore definisce «utente».
Tornano alla mente quelle divertenti ma legittime osservazioni che faceva Gian Paolo Ceserani riguardo a certe «mode», tipiche della media borghesia, di cui pareva difficile trovare una spiegazione attraverso quei parametri tipicamente francofortesi allora unanimemente accettati dal mondo intellettuale di sinistra. Ceserani ipotizza un viaggio in auto lungo una «strada della provincia italiana» e descrive lo stupefacente scenario incontrato: «davanti ad ogni villetta, ai piedi o al bordo del muro di cinta, una serie di chiazze di colore (rosse, azzurre, gialle, verdi) hanno attirato la nostra attenzione. Che cosa saranno mai? Sono i Nanetti: alti o bassi, di terracotta o di plastica, con o senza Biancaneve, intervallati per lo più da vasi di gerani o da finti tronchetti in cemento che ospitano rose (…) Chilometri e chilometri di pini argentati, migliaia e migliaia di nanetti: ci troviamo di fronte, indubbiamente, ad un vero e proprio consumo di massa; ma – questa la domanda che si farà il pubblicitario – chi ha ”lanciato” questi prodotti? Da dove nascono queste mode? (…) Chi ha creato questi consumi?» (Ceserani 1975 pp.3-4) Interessante è poi la risposta che l’autore cerca di fornire al ‘problema’ che quei comportamenti di consumo evidentemente gli ponevano: «la società dei consumatori, quella che abbiamo iniziato a chiamare Società Ricevente, è ormai in grado di produrre propri bisogni e consumi.» (ibidem, p.5) Se sorvoliamo su una terminologia un po’ fuori moda e sul desiderio comprensibile di liberarsi di un ‘senso di colpa’ che Ceserani, in quanto copywriter, non poteva non avvertire in un paradigma culturale che vedeva nel pubblicitario il persuasore occulto al servizio del potere capitalista, non potremo non rilevare motivi di interesse nei confronti della posizione dell’autore; posizione niente affatto lontana da quella visione del consumo che stiamo proponendo.

Tratto da Gianni Cresci, Marketing, comunicazione, semiotica. Strategie enunciative della complicità. Università di Bologna, 1991

Paragrafo precedente: 1.2 Tattiche versus strategie. Complessità e sua riduzione (seconda parte)

Paragrafo successivo: 1.4 Il consumo come la lettura: una produzione silenziosa

CERTEAU, Michel de
1980 L’invention du quotidien, Paris, Union Générale d’Edition

CESERANI, Gian Paolo
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1990 “Al Ries; l’importanza di partire dal fondo”. Marketing Espansione n.38

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