MARKETING, COMUNICAZIONE, SEMIOTICA: STRATEGIE ENUNCIATIVE DELLA COMPLICITÀ
2. Strategie enunciative della complicità
2.5. Dalla tattica alla strategia
Abbiamo più volte insistito sulla possibilità e l’opportunità di rivedere il criterio – criterio dominante nelle teorie di marketing – che assegna alla leva pubblicitaria la funzione del conseguimento degli obiettivi assegnati dalla strategia di marketing. Abbiamo discusso (paragrafi 1.3., 1.4.1., 1.5.1., 1.5.2, 2.0) delle ragioni per le quali è legittimo supporre che il processo decisionale di marketing possa utilmente configurarsi in fasi la cui concatenazione temporale appare, secondo alcuni aspetti, l’inversione dello schema tradizionale della “sequenza delle decisioni di comunicazione” (cfr. figura n.1). Si tratta adesso di approfondire il tema che avevamo in precedenza discusso, e, in un certo senso, di relativizzare alcune affermazioni che per esigenze espositive avevamo semplificato. In particolare vogliamo sottolineare che se è possibile sostenere, per le ragioni che abbiamo ampiamente riportato, che il processo decisionale di marketing possa delinearsi a partire da scelte tipicamente pubblicitarie, è anche vero che tale osservazione non legittima un definitivo ribaltamento della prospettiva che pone le scelte relative alla comunicazione in posizione subordinata rispetto alla politica di marketing complessiva.
Vi sono, in particolare, due autori – le cui posizioni sono state discusse nel paragrafo 1.3. – che, seppure con angolazioni piuttosto diverse, hanno recentemente sostenuto l’opportunità di invertire il tradizionale processo decisionale di marketing: Pascale Weil e Al Ries. A Pascale Weil e del suo Et moi, e moi (1986) abbiamo fatto riferimento numerose volte. Le sue posizioni sono riassumibili nell’attribuzione alla comunicazione di un ruolo assolutamente trainante rispetto alle altre variabili di marketing.
La ricercatrice francese sostiene che l’attuale assetto sociale ha reso del tutto inadeguato il modello di «società piramidale» (Weil 1986 tr.it. p.51) in cui «la comunicazione propone come modello i comportamenti della categoria superiore» (ibidem). A tale modello oppone quello denominato «società psico—matriciale», le cui caratteristiche sono parzialmente sovrapponibili a quelle attribuite alle «società complesse» e «post industriali» (tema che abbiamo discusso nei paragrafi 1.1. e 1.2.):
«Il profilo della società si è arrotondato per effetto dell’aumento delle classi medie e, in parte, superiori.
I mercati della fascia alta della gamma si estendono ad una nuova clientela potenziale.
*La riduzione delle differenze tra le categorie socio-professionali.
* L’accresciuta dispersione dei redditi nell’ambito di ogni categoria socio-professionale.
* Una sovrapposizione delle categorie sociali.» (ibidem)
A livello di comunicazione, tale nuovo scenario comporta nuove prospettive e nuovi criteri: «La comunicazione tocca una dimensione degli individui che, in tale occasione, formano un target psicologico di consumo. L’ordine delle fasi è invertito, la comunicazione prefigura il consumo. Si assiste all’estensione del processo che già esiste:
* quando s’inventa un nuovo concetto di prodotto attorno al quale si formalizza la domanda;
* quando si cerca di drenare-attorno a un prodotto esistente, nuovi target con motivazioni diverse da quelle dei clienti originari.» (ibidem 13.189)
Ancora più esplicita è la posizione di Al Ries che nel suo Bottom-Up Marketing (1989) (scritto con Jack Trout), espone le ragioni di un «marketing alla rovescia» che, invertendo il tradizionale processo decisorio (top-down), pone l’individuazione della tattica quale prima mossa fondamentale per la delineazione di un piano di marketing efficace:
«Fino a che punto l’idea che la strategia deve avere la precedenza sulla tattica è radicata nella mente degli uomini di marketing? Prima di tutto, nessuno dice mai “tattica e strategia” ma sempre il contrario. E il contrario sembra logico: prima decido cosa voglio fare (la strategia) e poi decido come farlo (la tattica)» (Ries e Trout 1989 tr.it. p.14)
Evidentemente il bottom-up marketing aspira ad invertire quel processo consolidato e che appare così «logico»: per gli autori è infatti bene partire da una tattica che funzioni, per poi individuare la strategia adeguata. Il processo top-down che il testo mette sotto accusa, è quello esemplificato nella figura n.1. Avevamo già discusso nei paragrafi precedenti della difficile applicazione di tale schema in un contesto sociale come quello attuale, caratterizzato, tra le altre cose, da un comportamento di consumo sfuggente, che si pone quale produzione di senso personale e difficilmente prevedibile.
Senza riproporre le discussioni già svolte nelle pagine precedenti, riteniamo però utile aggiungere una precisazione riguardo alla più volte menzionata “inversione del processo decisionale di marketing”. Abbiamo sottolineato come lo studio dei “discorsi della concorrenza”, l’individuazione di “zone di concorrenza discorsiva”, la selezione di un determinato lettore attraverso la proposta del contratto di comunicazione, il possibile intervento del mezzo pubblicitario sullo stesso programma d’uso caratterizzante l’oggetto promosso, possano oggi assumere un ruolo strategico di notevole importanza. Essendo questi strumenti di tradizionale ‘competenza’ della comunicazione (in quanto leva del marketing mix), è stato possibile ipotizzare che tale leva potesse aspirare a porsi quale primo passo di un piano di marketing complessivo. Tuttavia – ed è questo il punto che riteniamo importante sottolineare – ci pare ovvio che una volta determinate le variabili della comunicazione appena citate, e una volta adeguate coerentemente le altre variabili (per esempio, il prezzo o il canale distributivo), il piano di marketing che segue assuma l’aspetto tradizionale dello schema proposto nella figura n.1. Se, infatti, i punti di osservazione che abbiamo ricordato, e che reputiamo di fondamentale importanza, hanno suggerito una determinata tattica e, di conseguenza, una certa strategia, quest’ultima dovrà comunque prendere di nuovo in carico le altre leve ed assegnare loro degli obiettivi da conseguire. In altre parole, se è in discussione il criterio più efficace per stabilire una strategia di marketing , non ci pare invece discutibile l’esigenza che la strategia rappresenti un disegno coerente in grado di assegnare gli obiettivi ai mezzi disponibili. Ci pare quindi che le osservazioni di Al Ries e della Weil risultino di notevole interesse nella misura in cui esse riguardano il processo decisorio che porta alla concezione del piano di marketing; quest’ultimo, infatti, quale che sia la sua genesi, non può che ripresentarsi come un insieme di operazioni gerarchizzate.
I parametri utili alla concezione di una strategia pubblicitaria possono quindi aspirare ad essere i parametri per la stessa strategia di marketing complessiva; in questo fase il processo è, senza dubbio, capovolto. Ma una volta stabilita la strategia di marketing, la funzione della comunicazione pubblicitaria dovrà subire degli opportuni aggiustamenti e porsi, di nuovo, come una delle leve tattiche disponibili.
Conclusioni.
Nella prima parte della nostra analisi abbiamo ritenuto utile descrivere le principali caratteristiche di quella che viene chiamata “Transizione post-industriale”; queste infatti, riconducibili principalmente all’emergenza di nuovi tipi di aggregazione sociale che sfuggono ad una classificazione che tenga conto dei soli parametri sociodemografici, sembrano motivare alcuni mutamenti di prospettiva attuati dal marketing negli ultimi anni. La questione, ovviamente, riguarda in primo luogo i criteri validi per una segmentazione del pubblico indifferenziato in target group di comunicazione e consumo: ci siamo infatti soffermati su questo punto di notevole importanza.
Tuttavia, poiché era nostra intenzione individuare le ragioni dell’utilità di uno studio semiotico della comunicazione pubblicitaria, abbiamo voluto anche soffermarci sulle ripercussioni che i mutamenti sistemici descritti hanno avuto sullo stesso comportamento di consumo. Si è trattato non solo di verificare le caratteristiche di tale comportamento nelle società marcate da una crescente complessità sistemica, ma anche e soprattutto di ricercare elementi di analogia tra il consumo, inteso quale processo appropriativo e produttore di senso, e i processi di lettura di un annuncio pubblicitario. Le analogie tra i due atti, quello di consumo e quello di lettura, ci pare che siano emersi, nella nostra discussione, con una certa evidenza. Anzitutto abbiamo osservato come l’attenzione rivolta al destinatario dalla discussione semiotica potesse essere paragonata all’attenzione – non sempre adeguata, per la verità – che il marketing rivolge al comportamento del consumatore. Da una parte la semiotica riconosce nell’atto di lettura una mossa relativamente arbitraria: sicuramente limitata dalle marche isotopiche di lettura, ma comunque produttrice di senso e indispensabile all’attualizzazione stessa del testo; dall’altra il marketing si trova, per così dire, costretto a prendere in considerazione gli aspetti produttivi dell’atto di consumo: quest’ultimo sembra infatti porsi come mossa appropriativa e personale operata da un soggetto attivo nella rifunzionalizzazione dei prodotti disponibili, nell’assegnazione agli oggetti di valori funzionali anche imprevisti.
Se, d’altra parte, la strategia testuale opera una sorta di previsione dell’insieme di competenze del lettore, anche il marketing non può che muoversi in modo analogo: deve conoscere le competenze del consumatore, prevedere di quest’ultimo le mosse appropriatìve, controllarne, per quanto è possibile, le scelte di pertinentizzazione. Il marketing, come è noto, dispone di una serie di leve strategiche utili per tale tipo di controllo; noi ci siamo interessati in particolare di una delle leve privilegiate: quella pubblicitaria. Se, come abbiamo cercato di mostrare, la comunicazione pubblicitaria si caratterizza per un gioco di mosse, previsioni, scarti, resistenze che presenta alcune caratteristiche comuni all’interazione che viene a delinearsi tra la il mondo della produzione e quello dei consumatori, è anche possibile ipotizzare che lo studio preliminare ad una ‘comunicazione efficace’ risulti un momento strategico di grande importanza per la stessa politica di marketing complessiva. La comunicazione pubblicitaria assumerebbe allora non solo valore tattico nell’ambito di una strategia di marketing, ma anche il punto di osservazione privilegiato per operare scelte strategiche motivate.
Ogni prodotto si trova infatti inserito in “zone di concorrenza discorsiva” la cui individuazione e il cui utilizzo trovano collocazione ‘naturale’ proprio nella progettazione e nella attuazione della comunicazione pubblicitaria. A partire da questi presupposti abbiamo preso in esame alcuni annunci pubblicitari. La nostra attenzione si è comunque rivolta a quei meccanismi comunicazionali che ci parevano relativamente indipendenti dagli obiettivi strategici presi in carico dell’annuncio. La discussione di quelle che abbiamo definito ‘strategie della complicità” non ha infatti comportato la definizione di un insieme di strategie pubblicitarie caratterizzate dagli stessi obiettivi da conseguire. Va detto, anzitutto, che la ricerca della ‘complicità’, il tentativo di costruzione di un destinatario attivo nei processi di lettura e coinvolto ludicamente nell’attualizzazione del testo, pare essere comunque la mossa tattica coerente in un contesto in cui il fenomeno pubblicitario assume dimensioni notevoli e si caratterizza per una crescente ‘intrusività’. È inoltre da mettere in rilievo che le strategie della complicità – questione di cui abbiamo ampiamente discusso – proprio perché sembrano tendenzialmente rinunciare a meccanismi veridittivi, mostrano di prendere atto delle caratteristiche della comunicazione pubblicitaria in quanto particolare circostanza enunciativa. D’altra parte, è emerso dall’esame delle singole comunicazioni pubblicitarie che spesso le parti che compongono l’annuncio mostrano di obbedire a meccanismi enunciativi sensibilmente diversi tra loro e talvolta addirittura contrastanti.
Tale osservazione ci ha spinto a ritenere che le strategie che mirano a creare la complicità del lettore, assumano, nella maggior parte dei casi, valenza tattica. Un annuncio pubblicitario che, per esempio, pone in sincretismo il narratore con il narratario, può benissimo presentare contemporaneamente la tendenza a portare sullo statuto veridittivo degli enunciati o caratterizzarsi per l’utilizzo di argomentazioni miranti direttamente alla valorizzazione del prodotto promosso.
Ci pare quindi di poter dire che esistono condizioni distinte per l’efficacia dell’annuncio pubblicitario, e che tali condizioni si determinano a partire da scelte strategiche che operano sinergicamente ma che posseggono caratteristiche differenti. L’analisi dei meccanismi enunciativi della pubblicità a stampa, se può utilmente rendere conto dei modi in cui si possono creare le condizioni preliminari per una comunicazione efficace, ci pare tuttavia non possa fornire elementi sufficienti per una classificazione delle strategie pubblicitarie in base agli obiettivi da conseguire. Detto in altre parole, ad una stessa strategia enunciativa possono corrispondere strategie di comunicazione complessive molto diverse tra di loro. D’altra parte, due prodotti concorrenti, con caratteristiche funzionali analoghe e veicolate dagli stessi procedimenti argomentativi, possono distinguersi proprio per il tipo di strategia enunciativa adottata. Quindi, se è vero che la competizione tra prodotti concorrenti si svolge principalmente a livello delle zone di concorrenza discorsiva, del tipo di argomentazione adottata, nella presa in carico, o nella ‘creazione’ attraverso la presupposizione (cfr. nota n.16), delle contro-argomentazioni “circolanti”, è anche vero che la scelta della strategia enunciativa può avere conseguenze determinanti l’efficacia stessa della comunicazione nel suo complesso.
Paragrafi precedenti:
2.1. La cooperazione interpretativa
2.2. La messa in pagina
2.3. Veridizione e convenzione fiduciaria
2.4 Strategie della complicità
2.4.1 L’enunciato ambiguo
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